Il nostro precedente articolo non voleva essere assolutamente denigratorio o offensivo nei confronti di chicchessia, ma semplicemente dava voce a quanti in questi giorni devono fare i conti con i disagi provocati dall’invio di bollette del servizio idrico errate. La situazione disastrata dell’Ente, la carenza di organico ed il dissesto, non possono essere un alibi, ed il disservizio non è sicuramente colpa dei cittadini che pagano regolarmente le tasse. Non siamo certamente noi a stabilire quanti impiegati debbano essere dislocati presso l’ufficio tributi, in quanto gli stessi vengono identificati tramite il PEG, competenza dell’amministrazione.
Premesso ciò, vogliamo illustrare alcune prescrizioni generali che la legge prevede riguardo il servizio idrico.
Le compensazioni tra un esercizio finanziario e un altro, non solo sono possibili ma anche auspicabili, sarebbe assurdo infatti vantare un credito di centinaia o migliaia di euro e dover continuare a pagare importi inferiori, figuriamoci fare causa al Comune per ottenere quanto dovuto! La compensazione attualmente è possibile secondo l’art. 8 dello Statuto dei diritti del Contribuente che recita così: “L’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione”. Inoltre, l’art. 1243 del Codice Civile, introduce due distinte tipologie di compensazione: la forma legale che si verifica quando coesistono due crediti tra loro omogenei, liquidi ed esigibili e la forma giudiziale che opera nell’eventualità in cui il credito opposto non è liquido ma di facile e pronta liquidazione. Il caso dei tributi può essere fatto rientrare nella prima fattispecie. La Corte dei Conti della Lombardia inoltre, con deliberazione n.103/2014, ha ricordato che, in base alla disciplina contenuta nel Codice Civile, la compensazione rientra tra le modalità di estinzione dell’obbligazione diverse dall’adempimento. In parole povere il Comune può provvedere motu proprio alla compensazione crediti/debiti, ed anche tra tributi differenti tramite opportuno regolamento o disposizione interna. Chi prospetta la sola via giudiziaria, evidentemente molto onerosa per il cittadino, forse non conosce o fa finta di non conoscere l’istituto contemplato dalla normativa vigente.
In merito all’applicazione della quota fissa (manutenzione rete), essa non è dovuta, se non viene calcolata in base alla delibera all’Autorità per l’Energia Elettrica, Gas e Sistema Idrico N°664/2015 e successive modifiche e integrazioni, che definisce le regole per “il computo dei costi ammessi al riconoscimento tariffario, nonché per l’individuazione dei parametri macroeconomici di riferimento e dei parametri legati alla ripartizione dei rischi nell’ambito della regolazione del settore idrico”. In altre parole stabilisce i costi di manutenzione e tariffe, che, se non calcolati secondo questa direttiva, risultano illegittime.
Per quanto concerne l’IVA agevolata (10%), essa si applica solo alle tariffe, e solo sui consumi REALI, ma non sull’eventuale canone di manutenzione (i famosi 26€).
Forti perplessità di legittimità rimangono sulla questione della doppia bollettazione (acconto e saldo), poiché prevedono l’applicazione i consumi presunti, per le quali andrebbero invece effettuate 2 letture (o autoletture) annuali. E’ il Comune a dover dimostrare il consumo reale, tramite lettura del contatore, assunto alla base di molteplici sentenze a favore di contribuenti che dovevano pagare bollette di acconto con consumi presunti.
In relazione ai costi per la depurazione, essa non sarebbe dovuta, in quanto Acri rientra tra i comuni per i quali l’Italia è stata condannata dalla Corte di Giustizia Europea per ben 2 volte nel 2012 e nel 2018 per non aver realizzato la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue. Più dettagliatamente, per il mancato rispetto dei requisiti fissati agli articoli 4-7 della direttiva 91/271 e dell’articolo 5 della stessa approvata del Consiglio il 21 maggio 1991 e concernente il trattamento delle acque reflue urbane, come modificata dal regolamento (CE) n. 1137/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio il 22 ottobre 2008, conformemente all’articolo 3 di tale direttiva. In parole semplici se non mi dai la depurazione, non devo pagarla!
Per quanto concerne le bollette di pochi euro (modesto ammontare), i commi 1 e 4 dell’articolo 25 della legge 289/2002 (Finanziaria 2003), prevedono un importo di 12 € al di sotto del quale i versamenti non sono dovuti e non sono effettuati i rimborsi, salvo i casi in cui il Comune deroghi a tale importo con una norma di natura regolamentare (comma 168 art. 1 Finanziaria 2007). In parole semplici, ci deve essere un regolamento comunale che stabilisce la deroga all’importo minimo di 12€. Sul regolamento del servizio idrico non vi è traccia di tutto ciò, mentre si trova in quello della IUC (Imposta Unica Comunale). Anche sul “Regolamento di contabilità armonizzata”, approvato con deliberazione n.2 del 20.4.2017 del Commissario Straordinario (con i poteri del Consiglio Comunale) e non vi è traccia alcuna di deroga alla legislazione nazionale. Le bollette di pochi euro non solo sono “odiose” perché costringono il cittadino a pagare più di tassa di incasso che di tariffa, ma anche perché il Comune ci perde perché spende più soldi per la notifica rispetto a quelli incassati.
Tutto questo ovviamente al netto degli errori di bollettazione e degli aumenti di tariffa del 50% rispetto al 2016. Tutto quanto sopra esposto è frutto di ricerca e studio da parte dei componenti della LACA, i quali sono disponibili a dare chiarimenti a chiunque voglia interfacciarsi con noi.